Guida ai contenuti
● PARTE 1: PANORAMICA
● PARTE 2: DRIVER DIGITALI
● PARTE 3: IL QUADRO SOCIALE, UN MANIFESTO PER IL DIGITAL ENGAGEMENT
● PARTE 4: PROSPETTIVE FUTURE DEL DIGITAL ENGAGEMENT
● PARTE 5: CONCLUSIONI
● PARTE 1: PANORAMICA
● PARTE 2: DRIVER DIGITALI
● PARTE 3: IL QUADRO SOCIALE, UN MANIFESTO PER IL DIGITAL ENGAGEMENT
● PARTE 4: PROSPETTIVE FUTURE DEL DIGITAL ENGAGEMENT
● PARTE 5: CONCLUSIONI
Perché un’azienda cosmetica si interessa di etica digitale? La risposta è semplice: perché tutti abbiamo il dovere di preoccuparci del futuro del nostro pianeta e di tutte le sue forme di vita. In Lush crediamo fermamente che i diritti digitali siano diritti umani e che, senza un cambiamento cosciente a livello globale, siano destinati a essere messi a repentaglio. Purtroppo, le persone non possono permettersi di chiudere gli occhi davanti ai problemi che noi tutti, come società globale, abbiamo di fronte. Dunque, invece di piangerci addosso, abbiamo deciso di rimboccarci le maniche e sporcarci le mani nel tentativo di fare la differenza, seppur piccola, in relazione a un problema di grande portata.
Per tenere fede ai valori in cui l’azienda crede, nel 2016 Lush si è dotata di una serie di policy sull’etica digitale, a cui fa riferimento ogni volta che progetta, sviluppa o lancia un prodotto digitale. Queste policy, integrate nella Carta Etica Lush, rappresentano i principi guida dell’azienda e gli obiettivi a cui cerca di conformarsi ogni volta che viene presa una decisione.
Non vogliamo essere draconiani nel modo in cui li applichiamo, ma devono essere sempre tenuti in considerazione ogni volta che ci dedichiamo allo sviluppo e alla progettazione digitale. I principi delle policy possono essere sintetizzati nelle seguenti tre categorie.
Open-Source:
Hardware etico:
Dati etici:
Come possiamo riassumere tutto questo? Dicendo che in Lush crediamo nella forza della small tech energy. A seguito della nostra decisione di abbandonare i social media, per cui siamo stati ribattezzati “i gangstar anti-social della vendita al dettaglio“, ci siamo dati una priorità: abbandonare i giganti del big tech come Meta in favore di community open-source più piccole e agili. Non vogliamo più lasciarci trascinare nel Far West che è diventato l’ambiente Google, ma vogliamo interagire con i nostri clienti in scenari digitali più etici e nel metaverso (e no, non nella versione propinata da Zuckerberg). In Lush crediamo di trovarci in un momento cruciale della lotta contro le big tech e vogliamo essere fautori di questo cambiamento.
Nonostante gli ostacoli in cui potremmo imbatterci, siamo molto ottimisti sul futuro del digitale e sulla possibilità che la tecnologia riesca ad avere un impatto positivo sia sulla società che sul pianeta. Mentre le tecnologie emergenti e le generazioni più giovani si scontrano con forza, iniziamo a intravedere all’orizzonte un futuro più luminoso. Là dove prima esistevano solo i monopoli tecnologici, ora vediamo emergere riflessioni su come sia stato possibile consentire che tutto ciò accadesse, oltre a un interesse crescente per un web aperto e decentralizzato, molto più affine a quello immaginato originariamente da Tim Berners-Lee, padre e fondatore del Web2. La fusione ottimistica del mondo digitale e di quello fisico stimola la creazione di esperienze più appaganti ed esclusive, e rende possibile ciò che sembrava impossibile. Allo stesso tempo, la sovrapposizione di vita reale e online contribuisce a creare una realtà che si sta liberando dai vincoli monetari a cui siamo abituati, per cui chi ha più soldi ha anche più potere; in un mondo digitale decentralizzato i valori umani hanno molto più peso dei valori economici.
Le persone intervistate per questo report
La linea di demarcazione tra il vecchio e il nuovo modo di pensare negli spazi digitali è diventata sempre più netta, e l’innovazione tecnologica promette un una rottura dal dominio delle Big Tech, dando il benvenuto a un futuro digitale democratizzato, decentralizzato e trasformativo.
Come società e come persone facciamo sempre più affidamento sulla tecnologia. È innegabile che oggi le persone siano dipendenti dal digitale, per motivi di salute, svago, lavoro o benessere. Ma man mano che la promessa di trasformare il mondo delle piattaforme digitali esistenti viene disattesa, sia i brand che i consumatori riflettono e rivalutano questi rapporti di dipendenza.
“Oggi la cultura digitale è estremamente frammentata“, afferma Mica Le John, educatrice, scrittrice e CEO di Idoru, una piattaforma che mira ad aiutare le persone a trovare lo stile e l’identità più fedeli a loro stesse nel metaverso. “Le piattaforme di social media, ad esempio, sono in piena crisi di identità: ognuna di loro cerca di offrire tutto e il contrario di tutto e, nel tentativo di riuscirci, smette di soddisfare le esigenze reali delle persone“.
Rachel Coldicutt, esperta di tecnologia e fondatrice della società di consulenza Careful Industries, concorda con questa visione. “Permettendo alle persone e alle comunità di costruire reti, rafforzare i legami sociali, risolvere i conflitti e organizzarsi, la tecnologia può essere uno strumento di trasformazione e abilitazione sociale”, spiega. “Ma lo scenario attuale è perlopiù dominato da fenomeni quali conquista del mercato, radicamento del potere, capitalismo e sorveglianza, ed è caratterizzato da un ambiente ostile“.
Quale dovrebbe essere la risposta dei brand? Secondo la nostra ricerca, circa sette adulti su dieci (69%) nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Giappone ritengono che, se una piattaforma di social media agisce in maniera non etica, i brand dovrebbero abbandonarla, mentre sei persone su dieci (62%) apprezzano un brand che presta più attenzione all’etica di una piattaforma di social media rispetto al numero di consumatori che può raggiungere.
Nonostante la crescente preoccupazione per l’impatto dell’attuale cultura digitale, il tecno-ottimismo continua ad avere la meglio. Le piattaforme digitali continuano a offrire molti vantaggi a cui i consumatori non vogliono rinunciare, tra cui la possibilità di entrare in contatto con altre persone (33%) e di trovare utenti sulla stessa lunghezza d’onda (29%). La maggioranza delle persone (57%) sostiene di produrre di più grazie alla tecnologia, con il 39% che afferma che grazie ai social media riesce a esprimere meglio la propria personalità.
“Dobbiamo contribuire ad accrescere e sviluppare le azioni positive che si verificano in questo spazio“, dice Annabelle Baker, direttrice di Lush. “Là fuori c’è un futuro diverso, molto diverso da quello che vediamo adesso, in cui le persone possono interagire all’interno di ambienti sicuri. Dobbiamo fare in modo di spostare la narrazione da ciò che non possiamo fare a ciò che possiamo fare“.
Questa positività è ulteriormente alimentata da un panorama tecnologico in rapido sviluppo, con intelligenza artificiale (AI), metaverso e Web3 (la prossima iterazione decentralizzata di Internet) che promettono un nuovo modo di fare le cose.
Tuttavia, prevedere cosa ci riserverà il futuro sembra un compito impossibile. “I cambiamenti tecnologici all’orizzonte sono così tanti che è difficile capire cosa accadrà“, spiega Mark Constantine, CEO di Lush. “Dopo un decennio di esponenziale digital disruption, dobbiamo comprendere che aspetto avranno società, ambiente, economie e culture“.
Con la convinzione che la tecnologia dovrebbe dare di più di quello che prende, Lush, in collaborazione con la società di consulenza strategica The Future Laboratory, ha deciso di fare proprio questo. Già sostenitrice di dati etici, hardware etico e tecnologie open-source, Lush dimostra come la tecnologia possa essere costruita per il bene comune e avere un impatto positivo sul cambiamento sociale, proprio come i suoi prodotti di provenienza etica.
In questo report, esploriamo ciò che ci aspettiamo per il prossimo decennio e oltre, esaminando il panorama digitale in rapida mutazione, il suo impatto sui consumatori e le barriere esistenti alla trasformazione digitale. Presentiamo un nuovo manifesto per il digital engagement, che può promuovere l’innovazione etica, e sveliamo le nuove soluzioni e i nuovi spazi che le organizzazioni rivolte al futuro possono sviluppare.
A tale scopo, ci siamo confrontati con cinque esperti nel settore tecnologico che stanno già aprendo la strada a questo futuro ottimista nei confronti della tecnologia, e abbiamo intervistato più di 12.000 consumatori di Regno Unito, Stati Uniti e Giappone per capire le loro necessità e i loro desideri per quanto riguarda il mondo digitale e come vedono il futuro del digital engagement e dei social media.
Come afferma Martin Raymond, co-fondatore di The Future Laboratory: “La cultura digitale è destinata a diventare sempre più pervasiva, immersiva e potenzialmente trasformativa di quanto immaginiamo, sia in senso positivo che in senso negativo. Dobbiamo creare un framework di base che sia in grado di governare tali spazi, così come avviene nel mondo fisico“.
Davanti a una serie di sfide uniche, negli ultimi anni il mondo ha attraversato più cambiamenti di quanti ci saremmo aspettati in un decennio intero. Le priorità culturali, economiche, politiche e sociali sono state tutte trasformate da vari fattori, fra cui la crisi climatica, la pandemia e l’instabilità geopolitica, a cui ora si aggiunge anche la tecnologia.
Dalle insidie degli spazi digitali esistenti al potenziale rivoluzionario dell’AI, fino alla promessa di decentralizzazione del Web3, la trasformazione è già in corso. Quali cambiamenti sono promossi da questi miglioramenti costanti? E in che modo influiranno sul futuro del digital engagement?
Anti-social Media
I tempi stanno cambiando. Dalla nostra ricerca emerge che negli ultimi 12 mesi le persone hanno trascorso meno tempo sui social media. Più di un terzo (35%) degli utenti di Meta (17% per Facebook e Messenger e 18% per Instagram), quasi un terzo degli utenti di Pinterest (27%), un quarto degli utenti di Twitter (24%), Discord (24%) e Snapchat (24%), più di un quinto degli utenti di BeReal (22%), il 18% degli utenti di TikTok e il 16% degli utenti di Line sono presenti su queste piattaforme di social media con una frequenza minore rispetto a un anno fa.
“Le persone stanno evitando i social media, e i motivi alla base di questo allontanamento sono complessi“, spiega Jack Constantine, Chief Digital Officer di Lush. “I social media promettevano connessione, espressione e comunità. Oggi, però, molti consumatori hanno perso la fiducia nei confronti delle piattaforme di social media. Alcuni le percepiscono addirittura come uno spazio ostile. Tutto ciò è dimostrato in maniera allarmante dalla nostra ricerca, che rivela come quasi la metà (49%) dei consumatori ritiene che le piattaforme di social media non facciano abbastanza per proteggere gli utenti da molestie, pericoli e manipolazioni”.
Per molti versi, l’aspetto sociale delle piattaforme è stato abbandonato da tempo. Gli spazi digitali si sono trasformati in piattaforme puramente mediatiche che stanno danneggiando il benessere digitale, polarizzando le popolazioni, amplificando la diffidenza e premiando sempre più i post tossici.
“Il risvolto sociale dei social media non esiste più“, afferma Mica Le John, educatrice, scrittrice e CEO di Idoru. “Tutto verte più sui contenuti che sull’interazione sociale“. I consumatori condividono questa opinione; secondo la nostra ricerca, il 44% delle persone intervistate ha affermato che i social media hanno ormai ben poco di sociale.
L’impatto dei contenuti, inoltre, si sta dimostrando distruttivo. La maggioranza dei consumatori nel Regno Unito (63%) e in Giappone (53%) non crede che le piattaforme di social media facciano abbastanza per moderare la circolazione di punti di vista estremi. “Se un negozio dovesse ispirare reazioni simili o alimentare opinioni estremiste, non lo sopporteremmo“, afferma James Bridle, artista, scrittore e autore di Nuova era oscura. “Negli spazi digitali, tuttavia, non interveniamo“.
Questa situazione si ripete in tutte le aree geografiche. Come dichiara Danny Gallagher, proprietario dell’agenzia di cultura giovanile Future Collective, con sede a Tokyo: “Sebbene i social media giapponesi siano relativamente puri se confrontati con quelli americani, esiste chiaramente un sottobosco oscuro. Il bullismo o, nel mondo digitale, il cyberbullismo sono fenomeni dilaganti tra la Generazione Z giapponese“.
Quando si tratta di responsabilità, i consumatori si aspettano che siano i leader a definire i toni. Secondo la nostra ricerca, più di un terzo (35%) degli utenti di social media abbandonerebbe una piattaforma se il CEO avesse comportamenti non etici, mentre appena il 17% dei consumatori afferma che è importante per i brand stessi rendere sicuri i social media.
È triste dover ammettere che le conseguenze negative sono parte integrante del successo di molte piattaforme. Sebbene più della metà (58%) dei consumatori che abbiamo intervistato ritenga che le controversie ricevano una percentuale sbilanciata di attenzione sui social media, molti non sono consapevoli della portata dell’inganno, con gli algoritmi che sono in grado di utilizzare i contenuti a loro favore in maniera occulta. Se emergesse la verità, una percentuale significativa dei consumatori smetterebbe di utilizzare una piattaforma di social media se quest’ultima, pur essendo a conoscenza della presenza di post o profili intenzionalmente offensivi (31%) o faziosi (29%), non provvedesse alla loro rimozione.
“Alcuni whistelblower ci hanno spiegato in che modo le metriche di engagement stimolano e aumentano attivamente la polarizzazione“, afferma Rachel Coldicutt, esperta di tecnologia e fondatrice della società di consulenza Careful Industries. “Sanno cosa sta accadendo ma non adottano alcuna misura per porvi rimedio poiché sono effettivamente una fonte di guadagno“. I consumatori nel nostro sondaggio sono parzialmente consapevoli di questo, con più di un terzo (36%) che è convinto che i post di social media forniscano informazioni disoneste e imprecise.
Katie Hillier, antropologa digitale capo presso il LiiV Center, conferma tutto questo mentre spiega quanto sia necessario effettuare valutazioni costanti delle piattaforme di social media e della loro evoluzione. “La maggior parte delle società di social media non ha protetto adeguatamente i suoi utenti“, dice. “Non possiamo perdonarle come se niente fosse. Per garantire che gli spazi siano sicuri è necessaria una comprensione più ampia, continua e iterativa della cultura digitale, della cultura generale e delle persone“.
L’aumento delle prove e le testimonianze dei whistelblower stanno spingendo i brand che più volgono lo sguardo al futuro, a riconsiderare il loro sostegno nei confronti delle piattaforme di social media. Lush è tra questi, con una policy anti-social media che rappresenta l’impegno ad assicurarsi che le piattaforme su cui il brand è presente facciano del loro meglio per proteggere gli utenti dai pericoli, utilizzino i dati in maniera trasparente e non adottino algoritmi che portino gli utenti verso la fruizione di contenuti negativi.
I cittadini sono favorevoli a queste azioni e la nostra ricerca lo conferma: 6 adulti su 10 (il 62%) infatti afferma di rispettare un brand che si preoccupa più dell’etica di una piattaforma di social media che del numero di persone che è in grado di raggiungere, mentre il 70% è d’accordo nel dire che i brand dovrebbero impegnarsi a creare e mantenere policy chiare in materia social. I brand che non sono presenti sulle piattaforme di social media o che se ne sono allontanati sono considerati come responsabili (21%) e onesti (16%).
“Oggi come oggi è palese che alcune piattaforme di social media siano a conoscenza dei chiari pericoli a cui le persone, e soprattutto i giovani, sono esposte a causa degli algoritmi e della mancanza di regolamenti”, spiega Mark Constantine, co-fondatore e CEO di Lush. “Non vogliamo esporre i nostri clienti a questi rischi, per questo è arrivato il momento di fare un passo indietro finché le prassi non saranno migliorate“.
dei consumatori ritiene che i social media non facciano abbastanza per proteggere gli utenti
L’invadenza delle big tech
Il dominio digitale delle big tech è tangibile in tutto il mondo. Secondo l’Harvard Business Review, più del 50% della spesa pubblicitaria online globale passa attraverso Meta o Alphabet. Per quanto riguarda la ricerca, Google vanta una quota superiore al 60% negli Stati Uniti, il 75% in Giappone e più del 90% in Europa. Nel 2022 Amazon Web Services ha generato da sola 80 miliardi di dollari di ricavi, con Bloomberg che stima il valore di mercato complessivo di Amazon a un trilione di dollari.
“Lo scorso decennio è stato testimone dell’evoluzione di questo strano sistema secondo cui consumatori e pubblico forniscono interazioni e contenuti gratuitamente alle piattaforme tecnologiche“, spiega Rachel Coldicutt. “Le big tech hanno agito di soppiatto normalizzando questo rapporto precario, con gli utenti che in sostanza lavorano gratuitamente per queste piattaforme“.
Questo dominio non regolamentato ha fatto nascere un sentimento di antipatia nei confronti della tecnologia. La supremazia delle big tech è in declino. La nostra ricerca lo conferma: poco più della metà (52%) degli intervistati ritiene infatti che Google e Amazon siano considerate fonti affidabili di informazioni etiche. Le preoccupazioni dell’opinione pubblica sono cresciute fino a portare a pensare che una manciata di aziende abbia colonizzato Internet e ciò ha portato alla nascita di movimenti che cercano di combattere il predominio non regolamentato delle big tech nella società.
Ben il 57% dei consumatori intervistati ritiene che i grandi marchi e aziende dominino la tecnologia e la cultura online, mentre il 55% vorrebbe che le big tech avessero meno controllo online. Questa percentuale aumenta fino al 60 nel Regno Unito e al 61% negli Stati Uniti.
Al di là dell’influenza sulla società, anche la complessità e la mancanza di trasparenza circa il funzionamento interno delle big tech stanno influendo sulle nostre esigenze umane. “Il libero arbitrio, ovvero la capacità di sapere dove ci si trova, comprendere il proprio rapporto nei confronti di ciò che ci circonda e, criticamente, sentire di avere un certo grado di controllo, è una delle necessità psicologiche più basilari dell’umanità“, spiega James Bride. “Quando operiamo negli spazi digitali, tuttavia, il nostro libero arbitrio è sotto attacco e la nostra capacità di controllo è ridotta al minimo o del tutto annullata”.
Nel tentativo di frammentare un’economia digitale monopolizzata, i regolatori si stanno concentrando sulle politiche etiche come le leggi sull’antitrust e sulla protezione dei minori che mettono al primo posto la collettività anziché il profitto. Sappiamo dalla nostra ricerca che i consumatori sono giustamente preoccupati: il 70% sta chiedendo normative globali che proteggano la sicurezza degli utenti durante le loro esperienze digitali.
È assolutamente necessario un cambiamento immediato. “Le Big Tech si stanno impegnando attivamente per proteggere i propri interessi dalle tecnologie emergenti che potrebbero mettere a repentaglio il loro predominio“, spiega Jack Constantine, sottolineando come i licenziamenti e performance azionarie fiacche indicano come la marea potrebbe rivoltarsi contro le big tech. “Allo stesso tempo, stanno facendo incetta di spazi virtuali nel tentativo di controllare il futuro degli ambienti digitali immersivi“.
dei consumatori intervistati ritiene che i grandi marchi e le aziende abbiamo il dominio sulla tecnologia e sulla cultura online.
dei consumatori ritiene che le piattaforme dei social media non facciano abbastanza per proteggere i loro dati da terzi
La dicotomia dei dati
Secondo Domo, l’umanità, oggi più connessa che mai, crea più di 2,5 quintilioni di byte di dati ogni giorno. Le persone trascorrono più tempo rispetto al passato negli spazi digitali, condividendo dati, spendendo denaro, lavorando e divulgando informazioni personali, quindi non sorprende che la privacy dei dati sia uno dei principali motivi di preoccupazione dei consumatori globali.
Molte aziende sottovalutano la portata del problema. Nel Regno Unito, il 60% dei consumatori non crede che le piattaforme di social media facciano abbastanza per proteggere i loro dati da terze parti. Allo stesso tempo, due terzi (65%) dei consumatori globali non vogliono che i social media usino i loro dati per ottenere un vantaggio commerciale.
Queste preoccupazioni stanno minando il potenziale trasformativo dei dati che ha potenzialità etiche. È necessario implementare un nuovo approccio che consenta lo sviluppo di questo potenziale. “Il primo passo consiste nel riconoscere che quando parliamo di dati, in realtà stiamo parlando di persone“, spiega Katie Hillier. “Questa consapevolezza può contribuire ad alimentare la lotta per proteggere i dati delle persone, sensibilizzarle e mettere sotto pressione le aziende affinché garantiscano di aver adottato le protezioni della privacy appropriate nei loro prodotti“.
Allo stesso tempo, occorre rivalutare i dati come strumento per sbloccare l’innovazione, anziché come qualcosa da raccogliere e vendere. Come afferma Jack Constantine di Lush: “Le organizzazioni hanno smesso di riflettere su come possono usare i dati che hanno a disposizione per innovare. Il loro intento è piuttosto quello di raccoglierne un numero sempre maggiore, ma senza sfruttarli appieno. Questa non è affatto una strategia vincente”.
Ciò non si applica solo alle questioni etiche. Basti pensare all’impatto ambientale dell’infrastruttura necessaria per archiviare una quantità sempre crescenti di dati. L’Unione europea prevede che entro il 2030 i data center, spesso descritti come fabbriche dell’era digitale, avranno bisogno del 3,2% del fabbisogno di elettricità in Europa, un balzo del 18,5% rispetto al 2018.
La trasparenza dei dati sarà fondamentale. La tecnologia di Registro Distribuito della blockchain promette bene grazie alla sua capacità di aiutare a creare reti di comunicazione sicure e in tempo reale con i partner in tutto il mondo al fine di supportare le supply chain, contribuendo a offrire nuovi livelli di fiducia. Lush sta già utilizzando un software di mappatura della catena di approvvigionamento per creare visibilità sulle sue reti di fornitura globali.
Inoltre, ha collaborato con i fornitori per implementare e testare una catena di approvvigionamento dell’incenso ad elevata trasparenza abilitata dalla blockchain. Le catene di approvvigionamento dell’incenso in Somaliland possono essere notoriamente poco trasparenti e l’utilizzo della blockchain può aiutare a garantire pagamenti equi e tempestivi ai raccoglitori e la tracciabilità del materiale.
Un Internet esclusivo
L’iterazione attuale di Internet appare carente. Nonostante nel 1997 il suo inventore, Tim Berners-Lee, abbia dichiarato che “il potere del web sta nella sua universalità“, la realtà ha assunto toni molto diversi. Gli spazi digitali dominanti di oggi offrono tutto fuorché universalità. La visione di Tim è quindi minata dall’esclusività digitale e dalla mancanza di rappresentanza e accessibilità online.
Questo appare evidente in tutto il web. La nostra ricerca rivela che solo 1 consumatore su 3 (33%) pensa che gli spazi digitali rappresentino un luogo più accessibile per interagire con le altre persone rispetto al mondo reale. Contemporaneamente, la maggioranza (54%) della Gen Z ritiene che le minoranze siano marginalizzate o ignorate negli spazi digitali.
Questa sensazione è ancora più forte tra coloro che sono marginalizzati. Più di 4 consumatori su 5 (81%) che non rientrano nel tradizionale binarismo di genere, ad esempio, affermano che gli spazi digitali ignorano i gruppi marginalizzati, rispetto al 38% della popolazione generale.
Le implicazioni per le aziende sono significative e l’intento originariamente democratizzante della tecnologia è completamente ribaltato. “In un mondo ideale, le aziende dovrebbero essere accessibili ovunque le persone lo desiderino, senza la presenza di barriere“, spiega Annabelle Baker, direttrice di Lush. “Ma molte piattaforme digitali non riescono a offrire questo; cercano di ottenere profitto, ma lo fanno a discapito di altri brand e dei clienti”.
Mica Le John sostiene che non serve solamente di un cambio di passo, ma un processo correttivo continuo e monitorato nel tempo. “La diversità e l’accessibilità devono essere messe al centro di ogni elemento dei processi di produzione, manutenzione e crescita delle piattaforme digitali”, spiega. “Man mano che le aziende continuano a sviluppare i loro prodotti e crearne varie iterazioni, è fondamentale assicurarsi che tutte le voci siano ascoltate e tenute in considerazione”.
La nuova generazione del digitale
Più il panorama digitale diventa immersivo, intelligente e potente, più la società si trova in un punto critico. Il metaverso e l’intelligenza artificiale potrebbero trasformare la società in meglio. Ma, se non sviluppiamo strategie più inclusive, continueranno ad accrescere le diseguaglianze e la frammentazione. Senza dimenticare il fatto che la loro comparsa crea anche una serie di enigmi etici che la società non può esimersi dal considerare.
Prendiamo l’AI. Grazie a un’ondata di piattaforme di Generative AI rivolte ai consumatori (come ChatGPT, Midjourney e Dall-E 2), è stato annunciato il potenziale trasformativo della tecnologia. Sebbene la Generative AI si trovi ancora nelle primissime fasi, quasi 1 professionista su 3 (27%) l’ha già utilizzata per semplificare le attività lavorative, secondo Fishbowl, mentre Gartner prevede che la Generative AI rappresenterà il 10% di tutti i dati prodotti entro il 2025.
Tuttavia, attualmente, questo afflusso di intelligenza potrebbe avere un impatto esponenzialmente negativo sulla società, esacerbando i problemi esistenti. Un team di ricercatori dell’USC Information Sciences Institute ha studiato due database AI per verificare se i loro dati fossero equi e ha riscontrato la presenza di distorsioni nel 38,6% dei “fatti” usati dall’AI.
“Se i dati non sono di buona qualità, gli output che otterrai non faranno altro che perpetuare i problemi sistemici negativi“, spiega Katie Hillier, che resta comunque ottimista in merito all’impatto della tecnologia. “Con dati di buona qualità, invece, gli spazi digitali futuri potrebbero sbloccare una quantità enorme di valore. Riunire le persone e dare loro più modi per creare comunità sarebbe molto importante“.
Il metaverso è un altro esempio calzante; nonostante solo 2 consumatori su 5 (39%) sappiano cosa sia, 1 su 5 (21%) crede nella sua promessa di ridefinire il modo in cui sperimentiamo il mondo. Questo suggerisce una convinzione più forte tra coloro che hanno interagito con la nuova frontiera digitale immersiva. Tuttavia la nostra ricerca mostra che il 41% ritiene che Meta (società madre di Facebook) sia il metaverso, per cui il suo potenziale è già a rischio.
Gli enigmi etici presentati da queste tecnologie devono ottenere risposte capaci di combinare acume e pragmatismo, al fine di evitare l’adozione generalizzata e prematura di comportamenti che potrebbero rivelarsi deleteri nel lungo periodo. “Dobbiamo essere in grado di distinguere tra hype e valore reale, e sviluppare le competenze critiche che ci aiutino a comprendere il vero impatto delle tecnologie emergenti”, afferma Rachel Coldicutt. “Nella stanza possono esserci persone intelligenti, ma molte di loro sono troppo spaventate per dire no“.
La nascita dell’Alternet
Nonostante le previsioni pessimistiche, ci sono motivi per nutrire speranza per il futuro. La generazione nativa digitale sta creando un’ondata di ottimismo tecnologico grazie all’adozione di un approccio al cambiamento sociale che comprende l’attivismo digitale, definito dalla collaborazione e dalla decentralizzazione. Questi innovatori stanno sfruttando la potenza del Web3 e della tecnologia immersiva per mettere a confronto la natura omogenea di Internet e la sua monocultura, dando vita a reti che potrebbero contribuire a stabilire un nuovo paradigma per la società.
Semplificando, il Web3 è un nuovo approccio alla governance, alla creazione di valore e alla partecipazione degli stakeholder negli spazi digitali. Il Web3, costruito sulla base delle tecnologie blockchain, punta ad essere decentralizzato e aperto a tutti. Rappresenta un’opportunità per creare un futuro digitale in cui le persone sono costruttrici e proprietarie delle risorse digitali, degli spazi digitali di proprietà della community e dei loro dati.
Come afferma Katie Hillier del LiiV Center: “Il Web3 non è solo la nuova iterazione del Web2, ma il suo totale rifiuto. Ciò che è incredibile è che coloro che lo stanno sviluppando stanno tentando di realizzare gli obiettivi originali di Internet”.
In primo luogo, ciò significa facilitare la connessione, la comunità e la curiosità. Si tratta di vantaggi che i consumatori desiderano ardentemente, in particolare i gruppi demografici più giovani. La nostra ricerca ha rivelato che il 60% della Gen Z e il 58% dei Millennial hanno trovato online comunità che non avrebbero avuto nella vita reale, mentre la maggioranza (rispettivamente il 56% e il 52%) ritiene che gli spazi digitali consentano loro di esprimere la propria identità come non potrebbero fare nella vita reale.
Ma promette anche cambiamenti fondamentali allo status quo. “Quando cerchi di opporti a questi giganti tecnologici, a volte sei costretto a infrangere le regole“, dice Mark Constantine, CEO di Lush.
Il Web3 consente di farlo implementando modelli aziendali e modalità di operare radicalmente alternativi. Il Web3 ha dunque fatto emergere nuovi modelli aziendali sotto forma, ad esempio, di organizzazioni autonome decentralizzate (DAO), che attribuiscono il potere ai membri anziché a un unico punto centrale di autorità, con la distribuzione di token al posto di azioni. Secondo una ricerca di DeepDao.io, a gennaio 2023 il valore di mercato totale di tutti i token DAO era di circa 21 miliardi di dollari e ciò ne dimostra l’influenza crescente.
Le criptovalute rappresentano un altro ottimo esempio, con il 43% dei consumatori che mostra di conoscere le criptovalute e il loro potenziale impatto sulla crescita futura. Negli Stati Uniti, più di 1 consumatore su 10 possiede una conoscenza avanzata della tecnologia. Aziende come Lancium e HIVE Blockchain, nel frattempo, stanno fugando le preoccupazioni ambientali relative alla tecnologia, acquistando energia quando il consumo elettrico è basso e, scollegandosi dalla rete durante le ore di picco, si stanno trasformando in una risorsa per le reti elettriche locali.
I dati indicano che molti sono concordi con questo potenziale: i numeri forniti da Metaverse Post mostrano che lo spazio del Web3 ha portato a un aumento dei fondi di 7,1 miliardi di dollari nel 2022. Se messo nelle mani delle community, questo tipo di capitale rappresenta una ricchissima opportunità di creazione che potrebbe colmare i divari di ricchezza esistenti plasmando un futuro economicamente equo.
“Il Web3 è molto promettente“, afferma Danny Gallagher. “Nonostante molte domande siano ancora in attesa di risposta, se le sue promesse dovessero realizzarsi, sarebbe il nirvana digitale. Pensare che l’utente digitale medio possa leggere, scrivere ed essere proprietario dei suoi contenuti sarebbe la realizzazione di un sogno”.
Ma la strada è ancora lunga. La nostra ricerca ha rivelato che il 71%, il 70% e il 64% dei consumatori rispettivamente di Regno Unito, Giappone e Stati Uniti non ha mai sentito parlare del Web3. Tuttavia, considerando che la maggioranza (51%) dei consumatori intervistati ritiene che sia necessaria una nuova versione di Internet che attribuisca la proprietà agli utenti, il Web3 dovrebbe essere accolto con entusiasmo non appena aumenterà la consapevolezza in merito.
Ora spetta ai governi, alle aziende e alle istituzioni collaborare per sbloccare il pieno potenziale del Web3 e promuovere l’Alternet, mentre le opinioni su chi deve assumersi la responsabilità relativamente alla governance online vengono suddivise tra aziende tecnologiche (35%), governi (34%) e la società nel complesso (31%).
“Il Web3 sarà un ottimo strumento se ci impegneremo a renderlo tale” spiega Jack Constantine di Lush. “Le aziende possono scegliere di avere un ruolo attivo in questo spazio o non fare niente e restare a guardare. Esiste un’enorme discrepanza tra il modo in cui è visto nei media e il modo in cui è visto da coloro che lo stanno sviluppando e questo aspetto deve essere affrontato”.
dei consumatori afferma che la gestione delle piattaforme e dei siti online da parte delle collettività è un tema importante per loro.
Un manifesto per il digital engagement
Un tempo simbolo di speranza e liberazione, in contrapposizione alla cultura di Wall Street degli anni ’80, l’industria tecnologica si è rivelata in molti casi una forza più nefasta. Con l’avvento di una rivoluzione tecnologica di portata mondiale – alimentata, tra l’altro, dall’intelligenza artificiale, dalla realtà estesa (XR), dal metaverso, dalla biotecnologia e dall’informatica quantistica – non è mai stato così importante ricalibrare la nostra bussola morale e incorporare nelle nuove tecnologie sia l’integrità che i codici di condotta etica collettiva.
“I consumatori si aspettano che i brand diano il loro contributo alla lotta; la nostra ricerca dimostra infatti che il 62% delle persone ritiene che le aziende abbiano il dovere di assicurarsi che gli spazi digitali siano etici“, afferma Jack Constantine, Chief Digital Officer di Lush. Quasi la metà (43%) sta cercando attivamente consigli su come garantire il benessere digitale, mentre una percentuale simile (48%) è convinta che la normativa globale che protegge la sicurezza degli utenti nel corso delle loro esperienze digitali sia importante, e questa percentuale sale al 59% nel Regno Unito.
“In risposta,si dovrebbe adottare fin dall’inizio un nuovo manifesto per le frontiere digitali che cambiano il mondo, mentre le piattaforme digitali esistenti dovrebbero essere adattate”, spiega Martin Raymond, co-fondatore di The Future Laboratory. “Le aziende devono impegnarsi a creare una cultura digitale che promuova l’equità, l’inclusione, la rappresentazione, l’accessibilità, la trasformazione e il miglioramento personale e planetario“.
Secondo James Bridle, questo tipo di manifesto può avere un impatto universale. “È fondamentale migliorare l’istruzione, i quadri di riferimento e la comprensione di come ci comportiamo, agiamo e ci proteggiamo a vicenda negli spazi digitali. È fondamentale che sia trasferibile: permette alle persone di reagire in qualsiasi rete si trovino mettendo a loro disposizione le competenze e gli strumenti di cui hanno bisogno per muoversi in questi spazi”
Senza questo pensiero alla base, le cose potrebbero diventare rapidamente distopiche. Prendiamo come esempio il metaverso. Come Tim Sweeney, CEO di Epic Games, afferma: “Il metaverso è destinato a diventare ancora più pervasivo e potente di qualsiasi altra cosa. Se un’azienda ne ottiene il controllo, diventerà più potente di qualsiasi governo e sarà un sorta di dio sulla Terra“. I consumatori sono d’accordo, con il 47% che ritiene che l’integrità del metaverso sia vulnerabile alla condotta non etica delle big tech.
Per proteggere da tali minacce e assicurare che l’innovazione tecnologica possa creare un progresso esponenziale in una direzione positiva, abbiamo creato il manifesto The SOCIAL Framework. Il manifesto si compone da sei principi pensati per spazi digitali, piattaforme e interazione, ed è progettato per aprire la strada al futuro tecno-ottimista. Di seguito ne esploriamo i principi.
Prima di sviluppare qualsiasi piattaforma, servizio o prodotto digitale, occorre considerarne l’impatto ambientale. Indipendentemente dall’impatto positivo che possa avere uno spazio digitale, qualsiasi esperienza risulta indebolita se l’hardware, i rifiuti o lo storage dei dati hanno un impatto negativo sull’ambiente. Una volta compreso questo, la tecnologia può diventare uno strumento utile per combattere la crisi climatica, anziché aggravarla.
I brand attenti al futuro stanno mostrando come riuscirci. Un data center progettato da Snøhetta, ad esempio, reindirizza il calore in eccesso per riscaldare le attività vicine che ne hanno più bisogno, tra cui scuole e ospedali. Il nuovo data center dell’azienda danese Prime ha a sua volta un impatto ambientale net positive.
Altrove, Lush sta investendo nella sua politica di hardware etico, stabilita per utilizzare, ove possibile, materiale che non preveda commodity hardware, con una produttività elevata ma con un consumo energetico inferiore e più efficiente, e alimentato da energia verde rinnovabile. Lush sta implementando anche l’utilizzo di data server alimentati dall’energia solare e dalle maree, sfruttando l’energia del famoso porto di Poole, vicino alla sede centrale nel Dorset, Regno Unito. Inoltre Lush sta cercando di sviluppare un tablet etico di alta qualità, in primis per i suoi store, con il potenziale di essere lanciato sul mercato come dispositivo per i consumatori.
All’interno del panorama digitale e, più in generale, aziendale, la competizione deve essere sostituita dalla cooperazione, con le nuove attitudini collettiviste che pongono fine all’era della costante gara al rialzo. Un flusso trasparente di informazioni può contribuire a creare soluzioni e innovazioni che offrono vantaggi a tutte le parti della catena del valore.
“Attualmente, tra le aziende manca la collaborazione e la buona volontà“, afferma Mark Constantine, CEO di Lush. “Molte imprese stanno facendo speculazioni con i marchi e la proprietà intellettuale- prendendo spunto direttamente dal manuale dei pirati – e, affinché i problemi che vanno oltre la portata di una singola azienda possano essere risolti, tutto ciò deve cambiare“. In occasione del rilancio del suo sito web e della sua app in collaborazione con Saleor, Lush ha già adottato soluzioni open-source che dipendono dagli innumerevoli contributi di sviluppatori open-source di tutto il mondo.
In futuro, le piattaforme potranno unire i dati per consentire a tutte le parti interessate di monitorare e confrontare le prestazioni, garantendone l’affidabilità. La nuova piattaforma Restor, fondata dal Crowther Lab di ETH Zurich, sta aprendo la strada consentendo ai progetti di tutela della natura delle comunità locali di tutto il mondo di tenere traccia del proprio impatto, connettersi e collaborare.
Attualmente, nella maggior parte degli spazi digitali, i consumatori non hanno il controllo dei propri dati o delle proprie community. Ma man mano che i modelli incentrati sui consumatori andranno oltre l’e-commerce, la proprietà decentralizzata dei dati creerà nuovi scambi di valore e coltiverà microeconomie autosufficienti in cui le persone saranno responsabili del modo in cui ottengono i beni, poiché le tecnologie del Web3 faciliteranno il vero controllo comunitario delle piattaforme.
Oltre alla nascita delle DAO, stanno emergendo una miriade di piattaforme che mettono al centro la proprietà delle community, trasformando così il rapporto tra i brand e i consumatori. Con un ecosistema basato sui token, Voice è una piattaforma basata su blockchain che premia gli utenti che pubblicano contenuti di qualità. Allo stesso modo, Twetch è un social network senza pubblicità in cui gli utenti non solo possiedono i loro dati e contenuti, ma guadagnano anche denaro man mano che raccolgono like e follower. Si tratta di una rivoluzione molto sentita negli Stati Uniti, dove il 41% degli intervistati è interessato a ricevere valore monetario per i dati dei consumatori, assumendone quindi il controllo e guadagnando grazie alla condivisione con i brand.
È necessario inoltre adottare approcci iterativi all’innovazione digitale riconoscendo che, a differenza del mondo fisico, gli spazi digitali evolvono rapidamente e in modi che potremmo addirittura non riuscire a comprendere. L’adozione di una mentalità iterativa può favorire la realizzazione delle modifiche necessarie, con il miglioramento continuo delle piattaforme utilizzate da aziende come, ad esempio, OpenAI.
L’approccio Headless Commerce di Lush è un altro esempio calzante. La rappresentazione della separazione del front end e del back end della sua app consente a Lush di sviluppare liberamente qualsiasi funzionalità desideri con rapidità e come vuole. Non è però necessario che l’innovazione iterativa rivoluzionaria sia completamente nuova; Danny van Kooten, autore di un popolare plug-in di WordPress usato in quasi 2 milioni di siti web, ha recentemente scoperto che, secondo le stime, la rimozione di un solo kilobyte dal plug-in consente di ridurre le emissioni di CO2 di 2.950 chili al mese.
Gli spazi digitali devono essere accessibili e inclusivi, così come previsto dalla versione originale di Internet. Una maggiore inclusività rappresenta un vantaggio intrinseco degli ambienti digitali o virtuali, in quanto garantisce che il lavoro, il merito e il valore di una persona siano giudicati sulla base di chi è questa persona, anziché a suo dispetto.
Questa spinta verso l’inclusività sta incoraggiando i brand a offrire una rappresentazione più diversificata nei mondi virtuali e ad aiutare le persone con esigenze, desideri e aspirazioni diverse a muoversi negli spazi digitali senza ostacoli.
Idoru è un’app che consente agli utenti di creare avatar realistici di se stessi grazie a un livello di rappresentazione visto raramente nel mondo del gaming e digitale. TapTapSee, analogamente, è un’applicazione per fotocamere creata appositamente per gli utenti ipovedenti e non vedenti che analizza oggetti bi- o tridimensionali mediante la fotocamera di uno smartphone e li descrive a voce.
Infine, poiché diventa difficile distinguere tra IRL e URL, la natura esperienziale dell’interazione digitale dovrebbe essere incanalata in modo tale da offrire momenti divertenti, giocosi e positivi. Questo può portare a un cambiamento di mentalità orientato verso l’ottimismo, incoraggiare una condotta più simile a quella mostrata nel mondo fisico e assicurare che la cultura digitale sia uno strumento volto a migliorare il benessere.
“Gli spazi digitali offrono alle aziende l’opportunità di creare esperienze positive capaci di sfidare la gravità e le proprietà dei materiali, favorendo il benessere e la gioia”, afferma Jack Constantine, Chief Digital Officer di Lush.
Molte ricerche mostrano come il meravigliarsi regolarmente possa migliorare il nostro benessere fisico e mentale, accrescere la compassione, la generosità e le capacità di pensiero critico, ridurre l’infiammazione cronica e, persino, risvegliare l’autotrascendenza, la capacità di orientarsi al di là di se stessi. La sfida per i brand è sfruttare le tecnologie immersive e offrire momenti di meraviglia negli spazi digitali (fonti: Dacher Keltner, autore di Awe, e American Psychological Association).
“Tutto sta nel raggiungere un equilibrio tra gli spazi digitali e fisici“, spiega Mark Constantine, CEO di Lush. “Dopo il lockdown, le persone vogliono vivere il mondo reale, vedere la natura e percepire l’impatto positivo di tutto questo sul loro benessere. L’immersione digitale presenta i suoi vantaggi e la giusta combinazione può far sì che i due mondi si rafforzino a vicenda”.
Adottando i principi descritti nel manifesto The SOCIAL Framework, brand e aziende possono sfruttare appieno il potenziale dei rivoluzionari progressi tecnologici che stanno già lasciando il segno nella società. In questa sezione illustreremo come queste opportunità potrebbero svilupparsi, esploreremo i nuovi servizi e le soluzioni che potrebbero nascere e mostreremo come potrebbe essere il futuro dell’interazione digitale etica.
Piattaforme significative
Ai consumatori stanchi dei social media tradizionali vengono offerte nuove piattaforme che costruiscono, attraverso le loro funzionalità, valori comuni. Entro il 2030, i giovani appassionati di tecnologia adotteranno nei confronti delle piattaforme digitali approcci sempre più altruistici e incentrati sulle community.
In risposta alla natura antisociale di un gran numero di importanti spazi digitali, stanno emergendo una serie di piattaforme di social media progettate per accrescere la positività e raggiungere obiettivi significativi. Questi nuovi spazi mirano a riscattare il progetto di social media concentrandosi sui valori chiave della civiltà e del bene comune. Per raggiungere questi obiettivi, stanno integrando gli ideali nella funzionalità delle piattaforme, affinché ogni singolo click, swipe e upload promuova la connessione, la cooperazione e la comunità.
Rinunciando agli approcci standardizzati, le più valide piattaforme di oggi offrono agli utenti nicchie uniche in cui possono rifugiarsi. Somewhere Good, piattaforma di social media incentrata sulla community, ad esempio, è stata creata come uno spazio sicuro per le persone di diverse etnie e le comunità queer, e mette in primo piano la promozione della connessione e del rilassamento online. Gli utenti, che sono incoraggiati a fare un lungo respiro prima di aprire l’app, non hanno profili, feed, like o follower e non esiste alcun algoritmo.
In un’ottica diversa, Spoutible è una piattaforma di social media in cui gli utenti possono “parlare a vanvera” senza temere molestie. Creata da Christopher Bouzy, Spoutible dichiara che la protezione degli utenti non deve essere necessariamente sterile o noiosa. Promette di promuovere la diversità, di impegnarsi nei confronti delle notizie e dei giornalisti, di mettere gli utenti prima dei profitti ed essere vigile davanti a odio e frodi.
“Le nuove piattaforme stanno aiutando la società a trovare il giusto equilibrio“, afferma Annabelle Baker di Lush. “Attualmente, molti spazi digitali hanno un impatto negativo sulla salute mentale delle persone, e ciò sta minando il loro potenziale di fornire connessioni e vantaggi individuali; cosa a cui invece le nuove arrivate stanno dando la priorità“.
Anziché monopolizzare il paesaggio dei social media, è probabile che nel prossimo decennio nuove opzioni di nicchia continueranno a proliferare, con una rete di piattaforme esclusive che permetteranno ai consumatori di effettuare scelte e selezioni sulla base del loro umore. Una cosa che tutte avranno in comune è lo scopo.
“Quando si crea una community mediante una piattaforma online, si ha la responsabilità di impostare una serie di valori che siano riconoscibili fin dall’inizio“, spiega Katie Hillier, antropologa digitale capo del LiiV Center. “Se non si progetta sulla base dei valori in cui si crede, non tarderanno a emergere dei problemi. Per questo c’è stata una nuova frattura nei social media man mano che le persone hanno provato a creare sistemi che rigettano il capitalismo e rafforzano invece punti di vista più altruistici in merito alla comunità e alla democrazia nella società”.
“Quando si crea una community mediante una piattaforma online, si ha la responsabilità di impostare una serie di valori che siano riconoscibili fin dall’inizio“, spiega Katie Hillier, antropologa digitale capo del LiiV Center. “Se non si progetta sulla base dei valori in cui si crede, non tarderanno a emergere dei problemi. Per questo c’è stata una nuova frattura nei social media man mano che le persone hanno provato a creare sistemi che rigettano il capitalismo e rafforzano invece punti di vista più altruistici in merito alla comunità e alla democrazia nella società”.
Questo cambiamento di rotta è già visibile. Gli utenti che si stanno allontanando da Facebook e Messenger, ad esempio, lo fanno perché non sono d’accordo con il modo in cui la piattaforma usa i loro dati (15%) e perché non si riconoscono nei valori aziendali (18%). I giapponesi sembrano non apprezzare soprattutto i valori di piattaforme quali TikTok (23%) e Instagram (20%).
Altre piattaforme stanno consentendo agli utenti di guadagnare facendo del bene, non semplicemente con l’altruismo. WeAre8, creata da Sue Fennessy, è una piattaforma digitale con tolleranza zero nei confronti dell’incitamento all’odio che incoraggia l’interazione mediante lo sviluppo del profilo, con tanto di like e follow, ma richiede agli utenti di caricare contenuti con l’obiettivo di lasciare un segno nel mondo. Gli utenti di WeAre8 ricevono denaro per guardare pubblicità sulla piattaforma e possono scegliere quanto darne in beneficenza.
“Non ha senso innovare senza uno scopo“, afferma Mark Constantine, CEO di Lush. “L’integrazione dello scopo nel cuore di queste piattaforme si semplificano ii processi e si garantisce che gli algoritmi e le metriche di interazione promuovano comportamenti positivi“.
Per il futuro possiamo aspettarci che la prossima generazione di piattaforme social spinga ulteriormente i confini, adottando i principi del Web3 al fine di offrire alla community una proprietà e un controllo totali. Siamo già stati testimoni del lancio di Niche, una piattaforma di social media decentralizzata e priva di pubblicità composta da community di proprietà dei membri, mentre Friends With Benefits (FWB) è gestita da una community di artisti, operatori e pensatori del Web3 che condividono valori ribelli.
I consumatori nutrono già sospetti sulla natura incontrollata delle piattaforme, degli algoritmi e dei processi esistenti. A livello globale, il 34% smetterebbe di usare una piattaforma di social media qualora fornisse solo contenuti volti ad avantaggiare esclusivamente gli inserzionisti e non i singoli individui, mentre il 29% lo farebbe se l’algoritmo li indirizzasse verso contenuti tendenziosi. Nel Regno Unito (53%) e negli Stati Uniti (51%), la maggioranza smetterebbe di usare le piattaforme che consentono la pubblicazione di contenuti dannosi o manipolativi.
“Le nuove piattaforme possono contribuire a far sì che gli spazi digitali realizzino il loro potenziale di volano del progresso della società, come ad esempio i movimenti civili e sociali“, spiega Danny Gallagher di Future Collective. “I brand non etici e i governi corrotti amano il caos e la discordia poiché stimolano i click, le conversioni e la modifica di policy che riempiono le tasche delle lobby. Ciò fa sì che spesso i giovani siano vittime di forme sinistre di manipolazione nei settori pubblico e privato e questo è qualcosa da cui dobbiamo proteggerci”.
Con nuovi arrivati come Myco che consente ai suoi utenti di fondare social club digitali, la nuova generazione di digital architect creerà degli spazi virtuali personalizzati che competeranno con i player tradizionali e metteranno al primo posto la salute sociale.
I brand hanno la grande opportunità di dare il loro contributo nel consentire ai consumatori di conseguire queste capacità di sviluppo di piattaforme, cosa che potrebbe aiutare a colmare il gap digitale, a sua volta un sintomo o un’estensione dei più ampi gap economici provocati da fenomeni sistemici come il razzismo, il classismo, l’omofobia, la transfobia, il sessismo e l’ageismo. Gli ambienti digitali rischiano di replicare o favorire la stessa disuguaglianza che riscontriamo nelle società se non ci opponiamo attivamente a ciò nei punti di accesso e di sviluppo.
Il Metastore
Con l’evoluzione di metaverso, XR e connettività aumentata, nel prossimo decennio l’esperienza di shopping futura si trasformerà in un social network di store immersivi, interattivi, connessi e open-source: il Metastore.
Man mano che la vita diventa sempre più phygital, l’approccio basato su esperienza e servizi si muoverà dall’offline all’online senza ostacoli e con capacità ottimizzate. Gli spazi digitali immersivi replicheranno gli store fisici, e viceversa, con i clienti che potranno visitare e fare acquisti sia nella vita reale che digitalmente con i loro avatar, personalizzando l’esperienza sulla base delle loro esigenze specifiche nella realtà estesa mediante una serie di parametri open-source.
Questo orizzonte è molto più vicino di quanto possa sembrare. Gartner, società di consulenza e ricerca tecnologica, prevede che entro il 2026, un quarto (25%) delle persone trascorrerà almeno un’ora al giorno nel metaverso per lavorare, fare acquisti, frequentare le lezioni scolastiche, socializzare o intrattenersi. Le organizzazioni stanno già sperimentando con le piattaforme in cui si dispiegherà questo futuro.
La città di Seul, ad esempio, è la prima a essersi dotata di una sua piattaforma di metaverso, con uno spazio virtuale 3D che fornisce servizi pubblici di nuova generazione a fini amministrativi e culturali. Gli spazi includono un incubatore fintech, un ufficio virtuale del sindaco e il Metaverse 120 Center, in cui gli avatar aiutano i cittadini a presentare reclami e risolvere problemi.
Rimanendo in Corea del Sud, Lush ha sfruttato questa radicale capacità di immersione durante la pandemia di Covid-19, lanciando il Lush Christmas Showcase sulla piattaforma di metaverso Gather, che offre spazi virtuali completamente personalizzabili e capacità interattive. Il brand ha creato tre mondi diversi (Lush Land, Winter Land e Snow Fairy Land), ognuno dei quali ha permesso al pubblico di scoprire le storie, i valori e le campagne del brand, nonché le diverse gamme di prodotti.
Come dimostrato da Lush, le possibilità offerte dalla fusione di fisico, digitale e virtuale stanno permettendo ai brand di fornire non solo prodotti e servizi, ma anche universi accessibili a tutti. Ciò segna l’inizio di un’era in cui il commercio diventerà veramente immersivo, collaborativo e coinvolgente, con i cittadini che diventano parti attive di Internet, non semplicemente persone connesse. Questo futuro affascina soprattutto la Gen Z e i Millennial, con quasi la metà (48%) entusiasta all’idea che i confini tra gli store fisici e online si possano fondere per offrire un’esperienza di shopping conveniente e flessibile.
Ma come ha mostrato il Web2, questa promessa non è garantita. “Le big tech si stanno già accaparrando grandi spazi nel metaverso”, spiega Annebelle Baker, direttrice di Lush. “È in corso una battaglia tra le persone che sono abituate a possedere e controllare gli asset acquistando spazio e proprietà digitale poiché hanno la forza economica per farlo e i puristi del Web3 che si stanno impegnando affinché gli spazi virtuali siano equi“.
Ryan Gill è uno di questi puristi. Leader del Web3 e del paesaggio tecnologico più ampio, Ryan considera il metaverso come un servizio pubblico che deve essere accessibile a tutti e a cui ognuno può dare il suo contributo, e per realizzare questa visione ha creato la Open Meta Association. Ryan sta tentando di accelerare la crescita e l’adozione del metaverso sostituendo le big tech tradizionali con una community di persone unite da una visione comune di pensiero.
L’attenzione nei confronti di questi movimenti sta crescendo sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito, dove rispettivamente il 52% e il 49% dei consumatori ritiene che l’integrità del metaverso sia vulnerabile alla condotta non etica delle big tech, rispetto ad appena il 18% in Giappone. Analogamente, il 45% dei consumatori a livello globale pensa che le big tech controlleranno il metaverso vendendo i dati di persone e brand (senza che questi ultimi ne siano a conoscenza o abbiano fornito il loro consenso) per ottenere ricavi pubblicitari.
Alla luce di ciò è fondamentale aggiungere valore per le community dei clienti. Come dichiara Jack Constantine di Lush: “Il metaverso è più di un altro semplice canale pubblicitario. È uno spazio in cui aggiungere valore. Per i retailer, potrebbe significare offrire un servizio personalizzato e basato su consigli, volto a incoraggiare la sperimentazione o fornire un luogo in cui le community possono interagire tra loro“.
Lush ha acquisito spazi in Decentraland, un metaverso disciplinato da una DAO gestita dagli utenti, per offrire questo tipo di valore ai suoi clienti, permettendo loro di interagire mediante pop-up, attivazioni e quest immersive durante le quali possono guadagnare wearable digitali esclusivi per i loro avatar di Decentraland.
Man mano che un numero sempre maggiore di infrastrutture diventa connesso, gli spazi virtuali che replicano quelli fisici promettono a loro volta di favorire la sperimentazione, offrendo alle aziende informazioni sull’impatto di una decisione prima che venga effettivamente presa. Un esempio calzante è l’Agenzia Federale Tedesca per la Cartografia e la Geodesia (BKG), che ha creato un gemello digitale della Germania in grado di simulare i possibili scenari futuri al fine di rispondere alle sfide sociali e di migliorare il processo decisionale. La società tecnologica NVIDIA sta sviluppando Omniverse, una piattaforma di gemello digitale in tempo reale in grado di simulare, predire e in ultima analisi combattere il cambiamento climatico.
Le implicazioni per i brand sono significative, con gli store gemelli digitali che permettono alle aziende di simulare virtualmente le iniziative in-store, sollecitando il feedback dei consumatori, prima di implementarle nel mondo reale. Significa anche comprendere l’impatto che l’intero ecosistema aziendale sta avendo nella vita reale, apportando quindi modifiche reali alla produzione e alla logistica che possano contribuire a ottimizzare le supply chain e realizzare la rigenerazione.
Guardando al futuro, il mimetismo potrebbe anche prendere la direzione opposta, con le organizzazioni che creano “gemelli fisici”, spazi nel mondo reale basati sulle informazioni fornite dalla versione digitale del brand.
Per mostrare quale sarà l’aspetto di questo futuro phygital, il rivenditore londinese Selfridges, in collaborazione con il brand di moda Paco Rabanne e il museo Fondation Vasarely, ha recentemente creato Universe, un’esperienza in-store che fonde moda, arte, rivendita, teatro e token non fungibili (NFT).Come parte del concetto Corner Shop del rivenditore, il progetto ha incluso una mostra d’arte in-store, che ha portato alla luce le opere geometriche dell’artista franco-ungherese Victor Vasarely, completata da 12 capi NFT di Paco Rabanne.
La soluzione Lush Lens evidenzia l’impatto che il digitale può avere negli spazi fisici. Questa app open-source permette, semplicemente inquadrando un prodotto con il proprio smartphone, di vedere online dettagli come descrizione, modo d’uso, lista degli ingredienti e prezzo, oltre a video immersivi in-app, ed elimina così la necessità di utilizzare packaging, valorizzando la gamma di prodotti naked. La funzionalità, è stata progettata dal team di ricerca e sviluppo tecnologico in-house di Lush e si basa su tecnologie quali apprendimento automatico e riconoscimento dei prodotti. Racchiude tutto il potenziale per rivoluzionare il settore del packaging. I clienti possono anche fare shopping mediante l’app, selezionando la lingua preferita, il che la rende una soluzione di comunicazione senza confini. La funzionalità Lush Lens è stata creata in collaborazione con Quikkly per offrire un’alternativa più accattivante ai codici QR.
In ultima analisi, il Metastore è una questione di scelte. “Abbiamo bisogno di spazi, sia virtuali che fisici, che ci consentano di espandere e contrarre, in maniera facile e salutare, il significato che la parola community ha per noi nei vari momenti della nostra vita“, spiega Mica Le John, CEO di Idoru. “Ci sono giorni in cui vuoi solo stare con i tuoi migliori amici come una piccola community, altri in cui invece vuoi goderti un’esperienza immersiva e altri ancora in cui vuoi connetterti in maniera creativa”.
Frontiere del Feedback
Nel 2030, i brand potranno sfruttare la potenza del Web3 per dare vita a nuove modalità di nterazione con i clienti, entrando così nella nuova era della co-creazione, dell’innovazione e del commercio Driven-with-Consumer.
I confini tradizionali tra i brand e i consumatori si stanno già confondendo. Il servizio clienti si è evoluto diventando più rapido, reattivo e personalizzato, con le aziende che si sforzano di creare conversazioni con i clienti, imparando qualcosa per farne tesoro. Il panorama si è spostato dall’essere transazionale all’essere improntato alla reciprocità.
A riprova di questo cambiamento, la ricerca di Ogilvy rivela che, quando è stato chiesto loro se sarebbero stati disposti a dedicare un’ora alla settimana a partecipare a un gruppo di lavoro per il loro brand preferito, ad esempio aderendo a un Gen Z Council per tre mesi, l’86% degli intervistati della Gen Z ha risposto in maniera affermativa.
Un modello commerciale basato sull’auto-espressione autentica dei clienti è Basic.Space, che opera come marketplace online a seguito di un’iscrizione. Le vetrine digitali della piattaforma consentono agli utenti di acquistare gli articoli mostrati nelle foto e nei live-stream dei creativi. Al fine di incoraggiare un dialogo diretto tra venditori, brand e consumatori, l’accesso è riservato ai soli membri.
“Molti consumatori stanno cercando l’interazione anziché evitarla“, afferma Annabelle Baker di Lush. “Si stanno gettando le basi per un’era di co-creazione e commercio diretto con i consumatori, all’interno del quale i brand creano cicli continui di feedback con i clienti, li invitano a dare il loro contributo al processo innovativo e sviluppano un rapporto di di fiducia”.
L’app Lush è una dimostrazione pratica del tipo di coinvolgimento che è possibile ottenere grazie alla funzione Lush Bathe. Nel prossimo futuro, gli utenti potranno accedere a maggiori informazioni sui benefici di un bagno in relazione al miglioramento della qualità del sonno, alla frequenza cardiaca, al senso di benessere, semplicemente inserendo nell’app alcuni dati sulla salute.
Gli spazi virtuali immersivi rappresentano una perfetta opportunità per rispondere in maniera positiva a questo feedback, dal momento che offrono ai clienti la possibilità di sperimentare con gli ambienti brandizzati (all’interno di determinati parametri) e co-crearli. Secondo SignalFire, l’input della community può evitare l’omogeneità digitale, far sì che gli spazi digitali promuovano l’inclusività del crowdsourcing e veicolare il talento di più di 50 milioni di persone in tutto il mondo che si considerano creatori di contenuti.
La maison di moda digital-first Finesse usa i dati, l’AI e il feedback della community per prevedere le tendenze e produrre prototipi di design virtuali a cui gli utenti possono dare un voto. L’azienda, che ha recentemente raccolto un finanziamento di 4,5 milioni di dollari, si rivolge ai suoi clienti come se fossero colleghi. Un altro esempio che vale la pena citare è MetaFactory, un marketplace per l’abbigliamento digi-fisico che adotta un approccio basato sul crowdsourcing per la creazione di nuove economie del brand, in cui i designer e le loro community condividono incentivi e la gestione collettiva del brand. La community MetaFactory può condividere suggerimenti e votare i design dei prodotti utilizzando la valuta specifica della piattaforma.
Alcune di queste iniziative stanno già mostrando un impatto positivo sul mondo analogico. Negli Stati Uniti, la Rhode Island School of Design (RISD) si è recentemente rivolta allo studio di desig Gretel e ON ROAD, un’agenzia di ricerca che si occupa di giovani neri e indigeni, e in voci sottorappresentate, per un processo di rebranding co-creato che coinvolge designer, studenti, ex studenti, artisti e studiosi. Questo approccio inclusivo e guidato dalla community è progettato in modo da riflettere l’impegno dell’istituto nei confronti dell’inclusività.
Lush vanta una serie di reti interne della community che permettono allo staff appartenente a comunità sottorappresentate di connettersi e collaborare all’interno dell’azienda. Le reti rendono più semplice per le diverse community offrire un contributo alla formazione, allo sviluppo dei prodotti e al modo in cui Lush supporta i suoi collaboratori. I clienti sono anche stati invitati a partecipare al processo di produzione, che è quindi diventato un punto di contatto esperienziale, mediante i Lush Party Experience Workshop in-store, durante i quali vengono offerte attività personalizzate e l’opportunità di creazione di prodotti, o tramite l’invio di Lush Maker in visita per co-creare bombe da bagno con i clienti. Entro il 2030, i brand potrebbero a loro volta rendere esperienziali le supply chain e gli hub innovativi, permettendo ai clienti di muoversi all’interno di repliche virtuali della loro intera catena di valore e mettere alla prova la loro inventiva.
Guardando al futuro, la natura intrinsecamente decentralizzata del Web3 assicurerà che questi servizi siano offerti in sicurezza e garantendo la privacy delle community di clienti. Collab.land è un sistema che mostra come riuscirci, usando le criptovalute per gestire i gruppi di chat Telegram o Discord in modo tale che sia consentito l’accesso solo a coloro che posseggono con un determinato numero di token. I moderatori possono aggiungere un bot, che agisce come blocco al fine di mantenere esclusiva la lista degli ospiti del canale.
della Gen Z impegnerebbe volentieri un’ora a settimana per far parte di un gruppo di lavoro del proprio brand preferito
Incentivi per gli attivisti
Entro la fine di questo decennio, un nuovo mercato del commercio di dati permetterà ai consumatori di controllare, gestire e trarre profitto dai propri dati personali, che i brand useranno per incentivare i comportamenti basati su una mentalità comunitaria.
Man mano che si passerà ad ambienti digitali sempre più immersivi, emergerà un nuovo mercato del commercio di dati. La complessa rete di browser, indici e destinazioni virtuali che caratterizza il metaverso genererà nuove tipologie di raccolta dei dati, soprattutto nei campi del marketing, delle comunicazioni e della pubblicità, con le tecnologie della blockchain che garantiranno la privacy e la trasparenza dei dati.
La policy dei dati etici di Lush sta facendo da guida, assicurando la sicurezza e la trasparenza di tutti i dati appartenenti al personale e ai clienti di Lush. Come afferma Jack Constantine, Chief Digital Officer di Lush: “La privacy e la trasparenza sono fondamentali per sbloccare il potenziale dei dati, ma la maggior parte delle aziende rende, del tutto volontariamente, molto complesso e difficile alle persone comprendere il modo in cui tali dati vengono raccolti. Il Web3 e la blockchain promettono però di ripristinare l’equilibrio, aiutando le persone a ottenere valore dalla condivisione dei dati personali”.
Fornire un valore reale è essenziale e gli incentivi economici sono uno dei modi per farlo. Secondo la nostra ricerca, il 41% dei consumatori statunitensi auspica un futuro in cui possa avere la possibilità di controllare e trarre profitto dalla condivisione dei propri dati con i brand. È probabile che questa percentuale aumenti, arrivando al 47% e al 48% tra la Gen Z e i Millennial di tutto il mondo.
Come spiega Danny Gallagher: “I consumatori digitali sono ormai consapevoli del fatto che gli utenti sono il prodotto e non viceversa, e non sono affatto felici che i loro dati personali vengano usati in maniera inappropriata a vantaggio di pochi”.
Il marketplace dei dati basato su blockchain di CoverUS consente ai consumatori di generare un flusso di ricavi biometrici inserendo nel portafoglio digitale informazioni estratte da un fascicolo sanitario elettronico (FSE). Il brand paga per i dati raccolti utilizzando la criptovaluta a prezzo fisso CoverCoin e l’azienda si augura che in futuro gli utenti siano in grado di usare tale valuta per acquistare servizi come, ad esempio, iscrizioni alla palestra.
“I dati sono diventati una valuta sociale; è un passo avanti naturale“, spiega Katie Hillier. “Questo futuro può essere realizzato con maggiore facilità aggiungendo un tocco di emotività. Immaginate se poteste decidere di condividere i vostri dati con un’azienda che si occupa di qualcosa in cui credete, e che a sua volta potrebbe aiutarvi a modificare un vostro comportamento a favore della causa”.
Allo scopo di costruire questo futuro, molti brand stanno adottando un altro strumento molto amato dal Web3: gli NFT. In Giappone, Lush ha creato NFT esclusivi, coniati con Xooa, una piattaforma blockchain etica, per accompagnare il recente lancio di un prodotto, e intende esplorare ed espandere ulteriormente la connessione tra gli acquisti fisici e i contenuti digitali collezionabili.
Space10, il laboratorio di ricerca di Ikea, ha sviluppato un concept per collegare un elemento di arredamento fisico a un albero NFT in costante evoluzione, che “cresce” grazie alle buone azioni; tutto ciò per incoraggiare le persone a conservare, riparare e riciclare quello che posseggono. Il concept sostiene un allontanamento dagli incentivi di tipo finanziario a favore di una maggiore cura, in cui gli oggetti digitali visualizzano e premiamo i comportamenti sostenibili nel nostro mondo reale, favorendo nuove forme di auto-espressione digitale.
Partendo da questa visione, il brand di bellezza di lusso Guerlain ha creato Reaverse, con la speranza di unire le community digitali e la sostenibilità con le azioni nella vita reale. Combinando il suo impegno a favore della sostenibilità con una presenza nel Web3, il brand sta vendendo 1.828 NFT di api per supportare un progetto di rewilding nella riserva naturale francese della Vallée de la Millière.
Entro il 2030, i consumatori potranno valutare in tempo reale l’impatto ambientale delle loro azioni, e di quelle dei brand, permettendo così di offrire incentivi continui che plasmino i comportamenti per un futuro sostenibile. L’innovativo strumento IT Snapshot della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) sta già offrendo queste funzionalità attraverso la raccolta e l’elaborazione di informazioni aggiornate sulle posizioni delle diverse parti che partecipano a trattative complesse durante la conferenza sul clima COP26, mostrando come sia possibile monitorare i progressi in tempo reale.
R&R responsivo
Man mano che le nostre vite diventano più dipendenti dal digitale, i brand stanno sviluppando soluzioni personalizzate che migliorino il benessere individuale e promuovano un modo di vivere basato sul recupero, dai prodotti personalizzati agli ambienti responsivi.
Secondo IDC/Seagate, entro il 2025, una persona mediamente connessa ovunque nel mondo interagirà mediante dispositivi connessi quasi 4.800 volte al giorno, un’interazione ogni 18 secondi circa, rispetto alle 601 del 2020. Questa ricchezza di dati è destinata a sbloccare esperienze iper-personalizzate e completamente nuove che favoriscono la salute e il benessere dei consumatori.
“Sia che si tratti di sbloccare nuove esperienze o nuove connessioni“, spiega Katie Hillier del LiiV Center, “dare alle persone la scelta di scambiare i propri dati per servizi iper-personalizzati può stimolare innovazioni capaci di superare i confini dell’interazione”Nel settore dell’ospitalità, il Mandarin Oriental di Ginevra sta collaborando con il centro privato svizzero di medicina del sonno CENAS per fornire agli ospiti test polisonnografici notturni che consentano la diagnosi dei disturbi del sonno. Dopo un’attenta analisi da parte degli esperti della clinica, gli ospiti ricevono consigli per migliorare la qualità del sonno.
Le tecnologie smart stanno facendo entrare nelle case soluzioni simili a questa. Un esempio è lo specchio da bagno intelligente creato dall’azienda di wellness CareOS, che promette di aiutare le famiglie a migliorare la propria salute e il proprio benessere complessivo. Lo specchio Poseidon funge da dispositivo di cura personale privato per il benessere totale e può essere personalizzato sulla base delle esigenze individuali, comprese quelle di famiglie con bambini o adulti che seguono regimi particolari.
Anche la funzione Lush Bathe dell’app Lush sta facendo da apripista. Grazie alla collaborazione con una gamma di esperti di benessere, medici, sound healer, musicisti, band e DJ, Lush offre una serie di esperienze trasformative. Progettata per ottimizzare i benefici di un bagno caldo e coadiuvata da esperienze audio-visive immersive, la funzione sviluppata in-house è anche in grado di connettersi con i dati sulla salute per comprendere e identificare i benefici fisici tangibili di un bagno.
Nel 2023 Lush presenterà la prima bomba da bagno digitale Bath Bot, perfetta da utilizzare insieme a Lush Bathe, e progettata per creare un’esperienza sensoriale e trasformativa esclusiva nella vasca da bagno. Con un design identico a quello dell’iconica bomba da bagno di Lush, Bath Bot si può collegare a Lush Bathe per riprodurre contenuti attraverso un caratteristico altoparlante convesso a cupola che offre un suono a 180 gradi, unito a luci multidirezionali colorate che personalizzano l’esperienza del bagno degli utenti.
Il desiderio di esperienze simili da parte dei consumatori sta già crescendo. Secondo la nostra ricerca più di un terzo (36%) dei consumatori globali è alla ricerca di prodotti e servizi iper-personalizzati che li aiutino a soddisfare le loro esigenze individuali e permettano di raggiungere uno stato di benessere (la percentuale sale al 40% negli Stati Uniti). “Entro il 2030, la connettività consentirà ai prodotti di trasformarsi in esperienze immersive“, afferma Jack Constantine di Lush. “L’acquisto di un prodotto potrebbe permettere di accedere a un’esperienza di bagno personalizzata, come nel caso della Bath Bot di Lush, con un’app abbinata che fornisce consigli, e un sistema di luci intelligente capace di autoregolarsi per promuovere il rilassamento“.
Per favorire un recupero rapido, stanno anche emergendo ambienti per stanze completamente responsivi. Concept come Mediated Atmosphere, un progetto promosso dal gruppo Responsive Environment del MIT Media Lab, sono in grado di accrescere il benessere e la produttività mediante il miglioramento dell’atmosfera a livello individuale. Facendo ricorso a un’infrastruttura di controllo modulare e in tempo reale dotata di sensori che captano i biosegnali e che tracciano la frequenza cardiaca e le espressioni facciali, Mediated Atmosphere crea ambienti immersivi caratterizzati da illuminazione, proiezioni e suoni controllabili progettati per aiutare gli utenti a lavorare comodamente, con il concept che si adatta autonomamente in base alle attività e alla fisiologia dell’utente.
Non è difficile immaginare il successo di tali concept negli store e tutto lascia ben sperare che gli ingegneri del MIT riusciranno a superare i timori relativi alla privacy connessi al tracciamento e alla raccolta dei dati. Il sistema Butlr utilizza sensori a infrarossi passivi per rilevare solo il calore corporeo al momento di tracciare i movimento e le posture. I sensori non sanno chi sei, ma solo dove ti trovi e dove sei diretto, e il tracciamento si interrompe non appena abbandoni il campo visivo del sensore.
R&R responsivo
Man mano che le nostre vite diventano più dipendenti dal digitale, i brand stanno sviluppando soluzioni personalizzate che migliorino il benessere individuale e promuovano un modo di vivere basato sul recupero, dai prodotti personalizzati agli ambienti responsivi.
Secondo IDC/Seagate, entro il 2025, una persona mediamente connessa ovunque nel mondo interagirà mediante dispositivi connessi quasi 4.800 volte al giorno, un’interazione ogni 18 secondi circa, rispetto alle 601 del 2020. Questa ricchezza di dati è destinata a sbloccare esperienze iper-personalizzate e completamente nuove che favoriscono la salute e il benessere dei consumatori.
“Sia che si tratti di sbloccare nuove esperienze o nuove connessioni“, spiega Katie Hillier del LiiV Center, “dare alle persone la scelta di scambiare i propri dati per servizi iper-personalizzati può stimolare innovazioni capaci di superare i confini dell’interazione”
Nel settore dell’ospitalità, il Mandarin Oriental di Ginevra sta collaborando con il centro privato svizzero di medicina del sonno CENAS per fornire agli ospiti test polisonnografici notturni che consentano la diagnosi dei disturbi del sonno. Dopo un’attenta analisi da parte degli esperti della clinica, gli ospiti ricevono consigli per migliorare la qualità del sonno.
Le tecnologie smart stanno facendo entrare nelle case soluzioni simili a questa. Un esempio è lo specchio da bagno intelligente creato dall’azienda di wellness CareOS, che promette di aiutare le famiglie a migliorare la propria salute e il proprio benessere complessivo. Lo specchio Poseidon funge da dispositivo di cura personale privato per il benessere totale e può essere personalizzato sulla base delle esigenze individuali, comprese quelle di famiglie con bambini o adulti che seguono regimi particolari.
Anche la funzione Lush Bathe dell’app Lush sta facendo da apripista. Grazie alla collaborazione con una gamma di esperti di benessere, medici, sound healer, musicisti, band e DJ, Lush offre una serie di esperienze trasformative. Progettata per ottimizzare i benefici di un bagno caldo e coadiuvata da esperienze audio-visive immersive, la funzione sviluppata in-house è anche in grado di connettersi con i dati sulla salute per comprendere e identificare i benefici fisici tangibili di un bagno.
Nel corso del 2023 Lush lancerà Bath Bot, compagno ideale di Lush Bathe, progettato per aiutare a creare un’esperienza sensoriale e trasformativa esclusiva nella vasca da bagno.Caratterizzato da un design identico a quello dell’iconica bomba da bagno di Lush, si collega con Bathe per riprodurre contenuti mediante un distintivo altoparlante convesso a cupola che offre un suono a 180 gradi, completato da diverse luci multidirezionali colorate che personalizzano l’esperienza degli utenti.
Nel 2023 Lush presenterà la prima bomba da bagno digitale Bath Bot, perfetta da utilizzare insieme a Lush Bathe, e progettata per creare un’esperienza sensoriale e trasformativa esclusiva nella vasca da bagno. Con un design identico a quello dell’iconica bomba da bagno di Lush, Bath Bot si può collegare a Lush Bathe per riprodurre contenuti attraverso un caratteristico altoparlante convesso a cupola che offre un suono a 180 gradi, unito a luci multidirezionali colorate che personalizzano l’esperienza del bagno degli utenti.
“Entro il 2030, la connettività consentirà ai prodotti di trasformarsi in esperienze immersive“, afferma Jack Constantine di Lush. “L’acquisto di un prodotto potrebbe permettere di accedere a un’esperienza di bagno personalizzata, come nel caso della Bath Bot di Lush, con un’app abbinata che fornisce consigli, e un sistema di luci intelligente capace di autoregolarsi per promuovere il rilassamento“.
Entro il 2025, una persona media connessa interagirà con i dispositivi quasi 4.800 volte al giorno, circa un’interazione ogni 18 secondi.
L’attuale impegno digitale è carente dal punto di vista dell’etica, della trasparenza, delle finalità e del controllo. Ciò che è importante ricordare però è che molte di queste piattaforme digitali non sono state progettate pensando alla società.
“Le piattaforme digitali sarebbero luoghi estremamente diversi se i sociologi avessero partecipato alla loro progettazione“, spiega Katie Hillier, antropologa digitale capo del LiiV Center. “Le regole generali che disciplinano gli strumenti delle big tech si basano su valori in cui la maggior parte delle persone non si rispecchia. Se sono riuscite a sopravvivere così a lungo è solo perché la stragrande maggioranza delle persone non era a conoscenza del modo in cui i loro dati venivano usati e le loro interazioni venivano monetizzate“.
Agli albori di una nuova rivoluzione tecnologica, che promette di offrire esperienze digitali immersive, accelerate e trasformative, la società ha finalmente l’opportunità di garantire e assicurarsi che le regole che governano tali spazi siano allineate con i propri valori, prima di essere adottate su larga scala. È importante notare che la nostra ricerca dimostra che tutti noi rivestiamo un importante ruolo nella costruzione di questo futuro, con il 62% dei consumatori che concorda sul fatto che tutti possono contribuire a creare un mondo digitale più sicuro e inclusivo.
Per l’artista e autore James Bridle, il raggiungimento di questo obiettivo si rivelerà un’occasione di trasformazione. “Creare spazi digitali etici richiede un’enorme impegno a livello fisico, intellettivo, di intenzionalità e trasparenza“, spiega. “La nascita di concept interessanti, innovativi ed eticamente positivi si verifica quando si illustra alle persone cosa si sta facendo e perché, nonché quando si permette a tutti i membri di una rete di partecipare al processo e contribuire con il proprio input e la propria immaginazione”.
In questo report, abbiamo messo in moto la macchina, dice Jack Constantine, Chief Digital Officer di Lush. “L’espressione “tech for good” non deve essere un semplice slogan privo di signiciato. Le persone che stanno dietro alla costruzione delle nostre tecnologie hanno la responsabilità di assicurarsi che queste soddisfino standard etici. I CEO delle big tech sanno cosa stanno facendo quando progettano nuove funzionalità e hanno l’opportunità di agire eticamente. Mentre continuano a compiacere i loro azionisti disinteressandosi degli standard etici dei loro servizi, noi ci muoveremo verso un futuro digitale più responsabile dal punto di vista sociale, con community sulla nostra stessa lunghezza d’onda, impegnate a costruire un futuro più positivo per tutti”.
Annabelle Baker, direttrice di Lush, è d’accordo: “Abbiamo raccolto informazioni che ci suggeriscono come potrebbe essere il futuro, e le possibilità che il Web3 e le future iterazioni di Internet possano diventare gli spazi che noi desideriamo sono infinite. È il momento di creare attivamente il futuro che vogliamo“.
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